E adesso?

‘Lo potevo fare anch’io” è una frase che si sente spesso passeggiando per un museo d’arte contemporanea. Tagliare una tela, accendere delle lampadine, scrivere con un gessetto su una lavagna sono tutte azioni apparentemente molto semplici, ma che richiedono gran cura e una gran creatività nelle fasi di conservazione e restauro. Nell’immaginario comune il restauratore, dopo aver indossato un camice bianco, si arma di colori, pennelli e scalpelli, lavorando all’ombra di cappelle mastodontiche e grandi complessi scultorei. Ricompone grandi mosaici e sceglie la tonalità giusta per riprodurre l’effetto della luce esattamente così come l’aveva pensato l’autore dell’opera. Ma che cosa succede quando a dover essere restaurati sono, ad esempio, i segni di una performance? E in che modo si procede nelle scelte di restauro, quando l’artista è ancora in grado di dire la sua?

Con queste domande si confronta ogni giorno il piccolo trio di restauratori dell’Hamburger Bahnhof di Berlino che, con l’iniziativa Restaurierung am Hamburger Bahnhof- il restauro all’Hamburger Bahnhof- mette il problema sotto i riflettori e permette agli spettatori del museo di osservare un processo che normalmente avviene dietro le quinte. In un epoca in cui la produzione artistica abbraccia tutto quello che ha a che fare con la società, con la produzione industriale, con il surplus alimentare, con lo sviluppo tecnologico, le problematiche in campo di conservazione e restauro aumentano e si muovono verso soluzioni sperimentali. I materiali più disparati, fragili, sintetici, digitali, biodegradabili, spesso combinati tra loro, sono la base costitutiva di gran parte delle opere della collezione del museo, il quale da anni ormai, lavora a diretto contatto con gli artisti rappresentati nella collezione, con l’obiettivo di creare un vero e proprio archivio delle tecniche artistiche contemporanee.

Carolin Bohlmann, restauratrice all’Hamburger Bahnhof, racconta al Freundeskreis des G. Kolbe Museums di come la sua giornata cominci con una piccola aspirapolvere sotto braccio. Per prima cosa, infatti, si puliscono le vetrine e poi si aspira la polvere in eccesso che si deposita sulla opere d’arte. E qui cominciano i problemi: come si fa a capire quando si tratta di polvere in eccesso e quando invece si rischia di cancellare i segni una performance? Come si pulisce una lavagna sulla quale è stato scritto con il gessetto? Bisogna fissare il materiale in qualche modo, oppure facendolo si rischia di andare contro il volere di Joseph Beuys? Richtkräfte einer neuen Gesellschaft, uno die punti forti della collezione del museo, è un’installazione nata dai resti di una performance di Joseph Beuys del 1974. Per l’occasione l’artista aveva invitato il pubblico di Londra a visitarlo nelle sale della sua mostra per discutere dei futuri sviluppi di tematiche sul rinnovo della società. Nel corso delle discussioni fissa le idee su cento lavagne con gessetti colorati e lacca per capelli, dopodiché lancia le lavagne a terra, invitando gli spettatori a calpestarle. In fase di restauro, oltre a dover constatare che, nonostante il tentativo di fissarle, le scritte stavano scomparendo, si poté constatare che molti dei segni presenti sulle lavagne derivassero dall’atto performativo in sé.

La domanda del ”fino a che punto”, si debba intervenire su un capolavoro contemporaneo è sicuramente uno dei nodi centrali del discorso odierno intorno al restauro dell’arte contemporanea. Fondamentale, in questi casi, diviene la documentazione, fotografica e non, dell’atto performativo, della storia espositiva dell’opera e dei suoi spostamenti, di precedenti interventi restaurativi, la quale permette spesso di individuare il confine tra il volere artistico e l’usura. Anche un lavoro di restauro preventivo risulta spesso fondamentale per evitare che il problema si riproponga in futuro.

Glaskatzen- Mülleimer der Hoffnung, realizzato nel 1999 dall’artista Urs Fischer, è un susseguirsi di spazi dalle pareti di vetro che danno un forte senso di instabilità, rappresentazione di una fittizia e instabile vita interiore. Nel restauro di una delle pareti di vetro dell’installazione, risultò chiaro come le lastre in vetro di cui è composta l’opera, invece di essere minuziosamente incollate ala base della struttura, erano state solamente siliconate, rendendole meno stabili del dovuto. Dopo aver deciso, con il consenso dell’artista stesso, di riprodurre la parte di vetro andata in frantumi esattamente così com’era (stesso vetro, stessa forma, stessa tonalità) il team di restauro ha deciso di intervenire sull’intera struttura, rinforzando le giunture che la ancorano alla base. Accompagnato da una fitta rete di eventi, pubblicazioni, materiale d’archivio, conferenze e discussioni in merito ai principali temi nell’ambito del restauro dell’arte contemporanea, l’intero lavoro di ricerca,viene messo, così, alla portata degli spettatori più curiosi.

Info: www.smb.museum