Le donne di Newton

Non è chiaro se Helmut Newton sia stato la persona giusta al posto e momento giusto o se abbia piegato luogo e tempo a suo favore. La mostra al palazzo delle Esposizioni curata da Mathias Harder non aiuta a risolvere il dubbio. L’esposizione è pensata come una raccolta di scatti del fotografo tedesco ordinati secondo i libri pubblicati: White woman del 1976, Sleepless night del ’78 e il famoso Big nudes dell’81 scandiscono i tempi del percorso e presentano 180 scatti fra bianco e nero, colori, grande, medio, piccolo e gigantesco formato. Le pareti dalle tinte pastello ospitano scatti noti e meno noti, ritraggono personaggi famosi, visi sconosciuti, fondoschiena e seni tutti con la stessa grazia e attenzione.

Una delle prime foto in mostra, giusto per capire di chi stiamo parlando, presenta Newton (vestito di nero con la camicia aperta e la capezza d’oro al collo) sul letto di un albergo. Sopra di lui, sdraiata e nuda, una donna mostra il suo lato b all’occhio della fotocamera poggiata sul letto e riflessa sullo specchio attaccato al soffitto. Tamarro, prima di essere un fotografo il tedesco era un tamarro feticista. Il dato che può sembrare di costume in realtà è fondamentale per capire gli anni nei quali operava Newton e per inquadrare il suo lavoro.

Il periodo è quello fra la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta che, per intenderci, in fotografia (e nell’arte in generale) segna l’uscita dal gelo del concettuale. Cosa ha dovuto dimostrare la fotografia per essere considerata un’arte meriterebbe un anno di discussioni, qui ci basta dire che il decennio ’60-’70 è stato impegnato a far vedere quanto la tecnica della luce non fosse solo mestiere da chimici o padronanza ma che dietro a ogni scatto poteva nascondersi un pensiero. Ecco, Newton si piazza su questa linea che sfuma prendendo delle caratteristiche del concettuale e preannunciando estetiche del decennio successivo.

Il disprezzo della tecnica: concettuale. Newton si vantava di essere stato cacciato come fotoreporter dalla rivista Singapore straits news per evidente incompetenza nel cogliere l’attimo giusto, quella linea, come diceva Bresson, che unisce occhio e mente non era nelle corde del tedesco. Motivo di vanto erano anche i suoi ristretti mezzi: un assitente, un faro, due macchinette. La diffidenza per lo studio e l’amore per gli ambienti non fa che rimarcare la volontà di staccare la fotografia dalla tecnica e dai suoi virtuosismi.

Se tutto questo lo legava ancora agli anni Settanta, il prodotto dei suoi lavori era anni luce distante dalle opere fotografiche alle quali, almeno concettualmente, era vicino. Insomma, le sue fotografie erano belle. E mentre nell’arte tornava la pittura (vedi il neoespressionismo tedesco e la transavanguardia italiana) la fotografia poteva tornare a proporre immagini stupende. Ma Newton non si limita a questo e alla composizione perfetta aggiunge la sua firma: il kitsch. Tanto basta per capire il perché della capezza d’oro al collo nell’autoscatto con la modella nuda. Anche se il kitsch che intende Newton non è ancora quello che poi sarà il simbolo degli anni Ottanta, la sua è più una volontà di piegare la perfezione dell’immagine con elementi stranianti. Ecco che si spiegano le donne fotografate con le stampelle e con il gesso, oppure le modelle androgine. Non è certo un caso se una delle sue muse (del resto condivisa con Mapplethorpe) era Lysa Lion, culturista statunitense. Tutto questo è l’eredità che il fotografo lascia e che viene raccolta, reinterpretata ed esagerata da una moltitudine di artisti primo fra tutti Matthew Barney.

Difficile, dunque, dire quanto Newton abbia cavalcato quel periodo di mutamenti o quanto abbia plasmato il mondo della fotografia a suo piacere. Questa, in ogni caso sembra essere la prerogativa dei grandi artisti che con la forza del loro sguardo impongono un canone estetico nuovo. Così, lo spettatore non capisce quanto l’immagine viene apprezzata di suo o quanto è apprezzata perché è stato il creativo a cambiare l’occhio del mondo. La differenza è minima ma fondamentale.

Fino al 21 luglio; palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma; Info: www.palazzoesposizioni.it

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