Introspective, fotografia & psicologia

Introspective è una rassegna di opere fotografiche che tenta di aprire le porte sconosciute della sfera emotiva più intima di ciascuno di noi. Attraverso 25 scatti di indubbia raffinatezza estetica e inedita scelta iconografica gli artisti in mostra, Maurizio Cesarini, Emiliano Zucchini, Mona Lisa Tina, Massimo Festi, Valentina Nedda, grazie al medium fotografico offrono la possibilità di farci uscire, come Teseo, dal labirinto di Cnosso e di ritrovare noi stessi. L’evento, realizzato a Verona a cura della sottoscritta, è allestito nelle sale del prestigioso palazzo della Gran Guardia in piazza Brà, vicino alla suggestiva Arena, l’anfiteatro romano icona della città insieme a Romeo e Giulietta. La mostra è aperta al pubblico dal 24 al 28 giugno. Passeggiare fra le opere esposte genera un senso immediato di autoanalisi, di riflessione sul proprio Io, sul vissuto e sulla coscienza. Tutti i processi psichici che si attivano nella mente dell’osservatore favoriscono, come direbbe Socrate, l’analisi della sfera più intima e profonda dell’anima. Il processo fotografico, per sua natura, origina un’immagine il cui soggetto, isolato ed estrapolato dal flusso del tempo, è reso “immortale”. È così che il titolo Introspective va a definire un’immagine che non vive solo del proprio soggetto o della propria estetica, ma che include e immortala in sé anche il frutto di un “passaggio” puramente interiore percorso da ogni autore.

Nella fotografia “introspettiva” significati, sentimenti ed emozioni si legano in modo indissolubile all’icona, che diventa una sorta di “mise en abyme”. In alcuni scatti delle opere che vediamo succedersi nelle sale riconosciamo i nostri “artisti-attori” che, coinvolti in performance suggestive, ottengono ambientazioni a volte surreali e altre volte metafisiche, dove la presenza di ogni specifico elemento è sempre contestualizzata per creare uno o più messaggi carichi di lirismo e di smaliziata provocazione, come ad esempio “Animal instinct” di Massimo Festi. Tutti insieme gli artisti, come compagni di strada, si avviano nel mondo dell’arte attraverso l’uso di linguaggi trasversali per esprimere le proprie esperienze interiori, ciò che accade nella loro mente e affiora alla coscienza, e realizzando composizioni fotografiche, sì, complesse, ma allo stesso tempo chiare e pulite, dove il risultato finale è equilibrato, compatto e ben eseguito. Nell’opera di Maurizio Cesarini è contestualizzata la crisi dell’esistenzialismo mediante una rielaborazione della concezione husserliana della coscienza come percezione immanente. Nel caso di Mona Lisa Tina, invece, l’introspezione è espressa nel progetto di foto performance Anamnesi, poiché essa diventa un momento creativo in cui la coscienza rivela direttamente l’essenza dell’esserci. Una coscienza che mentre percepisce il mondo esterno percepisce sé stessa, diventa autocoscienza, e in quanto tale appare come il campo in cui l’uomo può andare alla ricerca della verità. Anche per Sartre la coscienza è il momento fondamentale che caratterizza l’uomo: essa si proietta nel futuro, è progetto, è libertà. Il riconoscimento di una realtà esterna, diversa da quella interna, è il motivo che spinge Valentina Medda, sulla scia della filosofia di Bergson, a realizzare scatti come “My blood runs the other way round” del 2011. La Nedda concepisce la vita, cioè la coscienza che crea la realtà e ne rivela il senso nell’interiorità dell’uomo, nel viaggio, nella partenza, nella partenza di chi resta: di chi, spettatore e attore, vive il partire degli altri nell’inevitabile accettazione del distacco.

Fra la filosofia del linguaggio e la psicologia, Wittgenstein con il Tractatus vede il mondo come la totalità dei fatti e il linguaggio come lo strumento che li esprime. A questo pensiero filosofico si riallaccia invece la ricerca artistica ed estetica di Emiliano Zucchini nell’opera Uomo e antenna del 2013, in cui propone una molteplicità di linguaggi caratterizzati da regole proprie, suscettibili di modificazioni, con una loro fonte nell’interiorità dell’uomo che si contrappone alla tecnologia speculativa. L’antenna in questo caso diventa l’icona tecnologica che si scontra con l’ideologia dell’uomo postmoderno e lo avvia a riflettere verso una nuova umanizzazione, forse sempre più cyborg. Il fil rouge che lega tutti gli autori è non solo il pensiero ideologico del recupero del proprio io attraverso un’autoanalisi, ma un bisogno urgente di vivere la vita nel terzo millennio. La mostra è realizzata con la collaborazione del comune di Verona, in particolare del settore cultura, rappresentato dal consigliere incaricato dal sindaco, Antonia Pavesi, dell’Ufficio manifestazioni e del presidente della sezione di Bologna dell’’International association for art and psychology , Stefano Ferrari, direttore della Scuola di specializzazione in storia dell’arte all’università di Bologna, a cui vanno i nostri ringraziamenti.