A Lisbona Vicino, più vicino

”Come gli innamorati, che da sempre per non percepire la reciproca assenza guardano la stessa luna, le scato­le comunicanti permetteranno ai visitatori di interagire con lo spazio, di diventarne protagonisti e di modificare il progetto stesso attraverso il proprio corpo”. È racchiusa in queste romantiche righe, che si possono leggere nel testo di presentazione, la sintesi del progetto Vicino, più vicino presentato e realizzato in occasione della terza edizione della Triennale di architettura di Lisbona, che si svolge nella capitale portoghese fino al 15 dicembre, dal collettivo di giovani architetti italiani composto da Giovanni D’An­gelo, Luca Ponsi, Olivia Giorgi e Paolo Gaeta con la collaborazione di Nicola Tuan per il padiglione portoghese. Close, closer è il tema scelto per i progetti associati: un tema che si apre al con­cetto di globalizzazione, e quindi di una possibile perdita di identità, ma insieme alla possibilità di una comu­nicazione più ampia. La curatrice dell’evento Beatrice Galilee si è trovata così a scegliere e premiare con la realizzazione dell’allestimento una serie di progetti volti a creare una sinergia tra spazi e sentire lontani. Il progetto verte principalmente sulla volontà di mettere in collegamento tra loro, fino al 2 novembre, Lisbona e Firenze unite da una serie di caratteristiche comuni quali il passato ricco di storia e di arte. Il capoluogo toscano è stato scelto come partner intellettuale della manifestazione e viene virtualmente connesso a Lisbona attraverso due struttu­re temporanee che interagiscono tra di loro attraverso il suono e la vista. Al visitatore fiorentino che attraversa la struttura temporanea sembrerà così di trovarsi a Lisbona e viceversa, un’interazione stimolata dall’uso di sensori che accrescono maggiormente il senso di vicinanza delle due città e dei rispettivi visitatori. Per capire meglio come si sviluppa il progetto e da quali presupposti nasce, abbiamo rivolto delle domande al collettivo subito dopo l’apertura delle strutture temporanee.

Come collettivo è la vostra prima partecipazione a un evento internazionale?

«Sì. Ci conosciamo da molti anni ma non abbiamo mai lavorato assieme come unico gruppo».

Concettualmente, cosa significa per voi mettere in comunicazione le città di Firenze e Lisbona

«Significa far si che due capitali storiche unite in passato da una forte cultura e dalla tradizione esploratrice tornino a dialogare mediante un contatto epistemologico, attivato dal movimento del corpo. Vediamo il fatto di innescare con i propri movimenti corporei luci e suoni come un linguaggio primigenio, comprensibile e afferrabile da chiunque entri nei padiglioni. Percepire la presenza diretta di una persona all’interno del padiglione gemello fa si che le grandi distanze del passato si riducano a un immediato confronto».

Il vostro progetto apre materialmente un varco spazio-temporale, quanto l’architettura può avvicinare le persone?

«L’architettura è immaginazione, il nostro obiettivo è quello di creare nuovi spazi attraverso un approccio collaborativo ed interattivo. In questo senso lo spazio diventa un elemento plasmabile da chi lo vive, dalle intenzioni in cui tutti possono partecipare e  modificarne la forma. Di fatto l’architettura diventa il risultato delle modalità di relazione di chi lo “usa” assumendo l’immagine delle intenzioni».

Nel vivere questa esperienza, cosa vorreste che provassero i visitatori della struttura?

«L’idea del progetto è stata quella di collegare idealmente e virtualmente le due città, Firenze e Lisbona. I visitatori all’interno del padiglione fiorentino sono catapultati in un clima portoghese, di luci e suoni della capitale. Questo dovrebbe dar vita ad un dialogo tra le due città e suscitare l’interesse e curiosità delle persone all’interno, verso mondi e culture lontane».

La struttura è formata da tubi innocenti ricoperti da stoffa bianca. Che significato hanno i due elementi e come dialogano insieme?

«I tubi innocenti rappresentano lo scheletro strutturale dell’architettura, diventano manifesto di quella progettazione che ha fatto della semplicità la propria scienza e che ha promosso una composizione dominata dall’essenzialità. Pensando a queste strutture la prima immagine che viene in mente è la chiarezza compositiva della griglia conferendo razionalità alla temporaneità delle costruzioni in fieri. Entrambe le strutture ricoperte da una stoffa bianca, colore comune sia alla cultura portoghese che a quella toscana conferirà un simbolo di purezza che caratterizza il progetto. È invece all’interno della struttura che il carattere distinto e identitario delle diverse culture si contraddistingue mediante due immagini simboliche delle due città: la voluta in marmo verde e bianca della facciata di Santa Maria Novella dell’Alberti in rappresentanza di Firenze, e la Rosa dei Venti di Belem, per Lisbona».

In Vicino più vicino vi avvalete di supporti audiovisivi,  quanto contano le nuove tecnologie nell’ideazione e sviluppo dei progetti architettonici?

«Pensiamo che le nuove tecnologie siano diventate fondamentali nella definizione e nello sviluppo dei progetti di architettura, non vi è più un distacco tra lo schizzo istintivo e la rielaborazione del progetto, ma le due strade corrono parallele. Spesso ci si avvale delle tecnologie anche nel momento primitivo di ideazione, tanto da condizionarne gli aspetti formali del progetto stesso. Basti pensare ai nuovi programmi di modellazione tridimensionale e alle immagini rendering che ne vengono sviluppati, più perfette della realtà; un’arma a doppio taglio per gli architetti».

Come vedete l’architettura del domani e in che direzione si sta muovendo la vostra ricerca?

«Crediamo che l’architettura del futuro continuerà a svilupparsi intorno all’essere umano, cercando di rafforzare il rapporto con la fragile natura che sta subendo torture immense da parte della nostra specie. Pensiamo che le tecnologie possano aiutarci a ottimizzare e sistematizzare ma sarà soprattutto il ritorno alla manualità che farà si che l’uomo torni a comprendere e apprezzare la semplicità».

foto Filippo Lorenzetti

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