È ancora Macro

«Tengo molto alle sorti di questo museo e mi sto adoperando per la nomina di un direttore esterno, attraverso un bando aperto, che renda così autonomo questo spazio; sto aspettando il via libera dal sindaco per proseguire su questa strada anche se come tempi ci vorrà almeno ancora un altro mese. Un’autonomia che reputo fondamentale per questo museo che rappresenta un fiore all’occhiello per la città di Roma. Anche se il Macro dovesse andare sotto il dipartimento Cultura, manterrà la sua autonomia gestionale: lo spostamento è di carattere amministrativo e non vuole essere uno svilimento per il museo e il suo staff. Certo i problemi nel bilancio non aiutano questo percorso e per il 2014 ancora non disponiamo di un bilancio di previsione». Così l’assessore Flavia Barca sulle sorti del Macro durante un’animata conferenza stampa mattutina che l’ha vista protagonista vicino all’ex direttore Bartolomeo Pietromarchi e alla direttrice ad interim Alberta Campitelli. La conferenza segna il debutto del nuovo ciclo di mostre su Giulio Paolini, Jorinde Voigt e i nuovi artisti in residenza. «Le polemiche che ci sono state in queste ultime settimane non fanno bene al museo, mi assumo la responsabilità se ho avuto dei limiti nella comunicazione. Non ho mai pensato che il Macro fosse solo un contenitore, mi piacerebbe lavorare con altri interlocutori che conoscono bene questa realtà affinché si sviluppi uno statuto giuridico e un progetto amministrativo che ne garantisca l’autonomia anche per poter attirare quei finanziatori privati fondamentali per garantire una programmazione di qualità», ha precisato la Barca che, dopo essere arrivata in ritardo all’appuntamento con i giornalisti per l’accavallarsi dei suoi appuntamenti in agenda, ha poi visitato le mostre accompagnata dagli artisti stessi. Dopo settimane di silenzio sul caso Macro, l’apparizione dell’assessore ha finito inevitabilmente per distogliere l’attenzione sulla presentazione del nuovo ciclo di interessanti mostre in programma fino a marzo.

Essere o non essere è il titolo della personale di Giulio Paolini che Pietromarchi qui nella veste di curatore, che all’ipotesi di un nuovo incarico da direttore del museo risponde «bisogna vedere i tempi, l’arte contemporanea ha spesso dei tempi molto più veloci di quelli politici e amministrativi», ha ideato e allestito appositamente per il Macro. Quattordici opere esposte, datate dal 1987 al 2013, che «non vogliono tratteggiare un percorso storico e didattico ma porsi come una partitura musicale che inizia con un adagio e prosegue in un crescendo fino all’ultimo lavoro, L’autore che credeva di esistere (sipario: buio in sala) creato appositamente per questa mostra», dichiara Pietromarchi. Al centro della ricerca di Paolini c’è l’autore stesso che si trova a riflettere sul suo ruolo rispetto alla creazione dell’opera: non un demiurgo che guarda dall’alto ma un soggetto che partecipa al manifestarsi del mondo, e dell’opera stessa, come un ospite. L’opera Big bang «ben riassume – dichiara l’artista genovese – nella metafora del fenomeno fisico quel soffio originario che risiede nella creazione di un’opera. È un lavoro simbolico dell’inesauribilità e della inconcludibilità del lavoro dell’artista il quale non sa e non può arrestarsi ma rilancia continuamente questa sua tensione a rinnovare qualcosa». È in questo gioco serio di rimandi, di specchi e di trasparenze, così presenti nelle opere esposte e che tocca il suo apice nell’opera inedita del 2013, che la teatralità delle installazioni di Paolini raggiunge il compimento, palesando la riflessione rispetto all’artista stesso e al suo essere, più o meno problematico, nel mondo.

È poi la volta di Jorinde Voigt che con Superpassion, a cura di Maria Alicata, esordisce in Italia con la sua prima personale in un’istituzione pubblica presentando un’installazione composta da una serie di grandi lavori su carta. Ciascuna opera che a prima vista potrebbe sembrare nata da uno slancio esclusivamente istintuale ed emotivo, è invece il risultato di un chirurgico processo di riflessione che parte da un’analisi di un testo, in questo caso un estratto del libro di Niklas Luhmann Amore come passione, e finisce per indagare il delicato processo di cognizione e interiorizzazione del sentimento. Il risultato sono delle affascinanti e gustose mappe concettuali che la bella artista di Francoforte sviluppa attraverso un’elaborazione che si pone al confine tra arte e scienza, individuo e collettività, struttura e sovrastruttura. «L’aspetto interessante di questa mia ricerca che porto avanti ormai da sei anni – dichiara la Voight – è nel constatare quanto il risultato finale che poi si concretizza nelle opere esposte sia in qualche modo differente e a se stante rispetto all’idea da cui sono partita inizialmente. Mi affascina questo prendere vita autonoma dell’opera durante il suo concretizzarsi». Hilla Ben Ari, Riccardo Beretta, Jacopo Milani e Sahej Rahal sono i nuovi artisti in residenza che presentano al pubblico romano fino al 19 gennaio i loro lavori nati e cresciuti sotto il tetto del Macro. Diverse tra loro per linguaggi utilizzati e intenti, le residenze dimostrano quanto sia importante sostenere i nuovi nomi del contemporaneo per poter gustare, in questo caso, delle opere anche durante il loro delicato processo di creazione.

Dal 29 novembre al 9 marzo, Macro, Roma. Info: www.museomacro.org

Articoli correlati