Dente, uno famoso

È uscito un po’ di tempo fa il nuovo album di Dente, Almanacco del giorno prima, e passata la sbornia e riascoltato il disco, possiamo parlarne con il fuoco oramai diventato cenere, quanto meno brace. È in occasione del suo concerto romano del 15 aprile, all’Auditorium parco della musica, che torniamo a riparlare del cantautore, e forse un buon punto d’inizio è proprio questo: l’Auditorium. Chi avrebbe mai detto che un musicista nato e affermatosi nella scena indipendente italiana sarebbe arrivato a suonare nel parco della musica della capitale? Certo, non è il primo e la lista di artisti partiti dall’underground e approdati nelle sale di Renzo Piano sarebbe lunga ma Dente sembra un caso diverso, anzi è un caso diverso. Tanto per cominciare non è cambiato, ha forse perfezionato il suo stile che a volte nel disco diventa maniera. All’Auditorium avrebbe potuto suonarci anche anni fa ma la misera popolarità, chiamiamola così, non giustificava un tale teatro, eppure le canzoni sono sempre quelle, i testi sono sempre quelli lì, se non identici, simili, molto simili, al passato. Ok, possiamo metterci di mezzo anche il passaggio per l’album alla Rca/Sony ma questo non spiega perché il concerto è quasi sold out. Tutto questo per dire che oramai Dente è uno famoso.

Così, a prescindere dai meriti o i demeriti del disco, Dente ha vinto: ha rotto quel cliché tutto italiano secondo il quale se un artista indipendente sfonda o passa al mainstream è perché si è corrotto, piegato al bieco mercato discografico, ha ridotto le canzoni a tre minuti e abbassato il registro dei suoi testi. Dente, che invero ha sempre avuto canzoni da una manciata di minuti, ha mantenuto una solidità che fa di lui un classico, costringendo il pubblico ”altro” a piegarsi a lui e non il contrario. E il pubblico si è piegato. Almanacco del giorno prima è un disco perfetto in questo senso che raccoglie la melanconica poetica del cantautore, sentimento che lontano dal definire solo le parole, questa volta, è andato anche a contagiare i suoni del disco. Composizioni che ricordano un mondo felice ma passato, musiche che a una lettura superficiale possono sembrare allegre e forse lo sono davvero se non fosse per i testi che stemperano con l’amaro delle parole il dolce delle note.

È in questo vivo contrasto che si muove l’intero album, stratagemma che riesce a regalare vivacità anche alle canzoni meno convincenti. I temi sono sempre gli stessi, amori finiti male, amori partiti male, amori non corrisposti e la sua specialità: amori fraintesi. Una novità è, invece, l’ironia che forte nei lavori precedenti, in questo sfuma e non stempera la drammaticità dei testi che rivelano la loro natura patetica. E poi i giochi di parole che lasciano per strada la naturalezza delle prime prove per diventare incastri studiati a tavolino ma non per questo meno freddi, giusto per citarne alcuni: «Amica mia, ah, mica mia», «Io passeggio, tu passeggi, egli passeggia insieme a te» «Ogni tanto ti penso spesso» «Chi non muore si ripete, chi non vuole non si vede più». Di maniera sembrano invece le frasi arrotolate: «Essere il vento che muove i capelli e i capelli mossi dal vento», non mancano gli oramai classici versi alla Dente «Ho trovato un tuo capello, se lo rivuoi fatti viva o dimmi almeno dove sei» «A me non hanno dato i muscoli, ma un paio di miracoli che ho già buttato via».

L’Almanacco del giorno prima già dal titolo si rifà ai gloriosi anni andati (Almanacco del giorno dopo era una trasmissione sulla Rai dal 1976 al 1994) atmosfera ricalcata poi negli strumenti usati per questo quinto album in studio dove la fanno da padroni: Farfisa, vibrafono, clavicembalo e glockenspiel. Nel complesso il lavoro, dati anche i colori vintage, sembra il suo disco più intimo e in questo conferma il superamento della contrapposizione fra indipendente e mainstream, fra libertà e legge del mercato.

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