La Biennale di Sydney

Sydney

Fino al 9 giugno 2014 si svolge la diciannovesima Biennale di Sydney, il più grande evento d’arte contemporanea internazionale del Pacifico, visibile in cinque diversi spazi appositi che comprendono: Cockatoo Island, il museo d’arte contemporanea Mca, l’Art gallery di New South Wales Agnsw, Carriageworks e Artspace. A scegliere il tema You imagine what you desire,è stata la curatrice della biennale Juliana Engberg, che ha potuto dare alla mostra un aspetto meno circoscritto rispetto a quello degli ultimi anni e offrendo agli artisti la possibilità di creare percorsi d’arte più ampi e liberi. Il tema su cui ruota l’intero insieme di esibizioni, opere, ed esperienze artistiche, fa riferimento a quella sfera di sentimenti e stati d’animo che sono evocati attraverso le opere degli artisti, caratterizzate da mondi immaginari e utopici che l’artista realizza per descrivere in modo personale, il mondo e la società che ci circondano.
«L’arte è anche – come afferma Juliana – desiderare in modo attivo, realizzare, creare, reinventare: un rievocare sentimenti, idee, stati d’animo e materiali. Nonostante il tema comune i percorsi artistici si svolgono in maniera capillare, seguendo diverse direzioni, anche a seconda dei diversi siti della mostra. Nell’area del porto di Sydney, l’Isola di Cockatoo ospita la mostra all’interno dei vecchi edifici industriali, che con le loro grandi dimensioni permettono all’artista di usufruire di ampi spazi.

In uno di questi edifici è possibile perdersi all’interno di una cascata proiettata sul muro di quella che una volta era la sala delle turbine, opera di Eva Koch (I Am The River), per poi raggiungere uno spazio in cui ora, l’opera d’arte richiede la partecipazione dell’osservatore. Si tratta delle attrezzature e macchine da fitness con cui Gerda Steiner e Jorg Lenzlinger hanno potuto realizzare non solo un’opera d’arte, ma un vero e proprio concetto legato all’energia umana. I due artisti svizzeri attraverso l’inserimento di queste macchine portano in scena l’esercizio fisico, oggi considerato un culto all’interno della società, rievocando quella stessa attività fisica usata nell’ottocento nei cantieri navali e prigioni dell’isola. Le tredici macchine connesse tra loro sono messe in moto dagli osservatori e attraverso un sistema di oggetti collegati tra di loro e alle macchine, producono effetti visivi e sonori. Gli oggetti utilizzati dagli artisti riguardano il mondo quotidiano e comprendono piume, strumenti musicali, giochi di gomma, per riuscire ad ottenere effetti visivi e sonori attraverso elementi presi dalla vita di tutti i giorni piuttosto che oggetti o materiali di particolare rilievo.

Il museo d’arte contemporanea accoglie lavori artistici che si concentrano sul tema della luce, dell’acqua e infine dell’aria, in modo sia letterale sia metaforico. L’architettura del museo stesso, come anche la sua vicinanza al porto di Sydney, ha sicuramente contribuito a determinare un percorso di lettura delle opere incentrato sulla luce. Vorrei prendere in considerazione l’artista americana Roni Horn. Le sue sculture di vetro Ten Liquid Incidents invogliano l’osservatore a esplorare fisicamente l’opera. Le dieci sculture di vetro disposte sul pavimento della sala, assomigliano a delle piccole piscine congelate con un peso di 770 kg l’una: la superfice uniforme e luminosa incuriosisce l’osservatore portandosi a interrogarsi sul materiale stesso della scultura. Questi oggetti circolari, infatti, sembrano, a prima vista, riempiti d’acqua, ma solo con un attento sguardo dell’osservatore è possibile costatare che sono interamente realizzate in vetro. Le sculture evocano il mito di Narciso che, specchiandosi nell’acqua, vedeva il suo riflesso: rilevando così le qualità camaleontiche dell’acqua, l’artista vuole creare un’analogia tra l’acqua e l’uomo, entrambi dotati di caratteristiche dinamiche e contrastanti, poiché entrambi mutabili, resistenti ma anche imprevedibili. Roni Horn continua cosi con quest’opera a esplorare elementi naturali con l’utilizzo di materiali industriali basici, come il vetro, il metallo, il bronzo, rientrando nel campo dell’arte minimale ma anche concettuale.

Contrariamente al Mca, Juliana Engberg descrive l’Agnsw come uno spazio cupo e intimo. Per questo motivo, al suo interno, troviamo percorsi artistici che si basano sui temi legati alla sfera antropologica, politica e ideologica. Se per Mca, gli elementi portati in primo piano erano acqua, aria e luce, all’Agnsw i protagonisti ora sono la terra e il fuoco.
Tra gli altri spicca il lavoro dell’artista cinese Yingmei Duan. Duan appartiene alla sfera della performance art, dove l’uso del corpo diventa fondamentale per instaurare un contatto con l’osservatore. Duan, infatti, ha riprodotto all’interno del museo un foresta incantata dove milioni di rami d’albero creano un percorso, che conduce all’artista stesso, la quale si trova seduta su un tronco d’albero tagliato. La performance Happy Yingmei, che è presentata per tutta la durata della Biennale, colloca l’osservatore all’interno di un mondo intimo e surreale dove è possibile scrutare l’artista mentre canta e vaga per la foresta consegnando agli spettatori piccoli pezzi di carta scritti, riguardanti sia la tradizione cinese sia messaggi di senso morale e umano, ad esempio: ”Ci sono molte persone anziane al mondo, perché non ti prendi cura di una di loro?”. L’effetto che si ha quando ci si addentra nella foresta, da cui ha preso inspirazione dalla fiaba di Oscar Wilde The Happy Prince, è quello di aver stabilito un rapporto quasi privato con l’artista, che può definirsi una Marina Abramovic asiatica, che si rifà, in effetti, a quella che è la ”grandmother della performance art”.

Info: http://www.biennaleofsydney.com.au

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