Uriel Orlow a Modica

«Quale possibilità hanno le immagini di narrare l’attuale ri-definizione dell’identità personale e collettiva?» È attorno a questa domanda che ruota la mostra di Uriel Orlow allestita per la galleria d’arte contemporanea Laveronica di Modica, orgogliosamente inaugurata col titolo Deep Opacity e attentamente curata da Lorenzo Bruni. È infatti da un attento dialogo tra quest’ultimo e l’artista che si sviluppa l’impianto narrativo dell’esposizione che si articola tra opere appartenennti a progetti precedenti e ricerche e collages di fotografie realizzate dall’artista in un suo recente viaggio tra magazzini e archivi dei musei d’arte del Sud Africa. Non solo scatti, ma anche linguaggi artistici che spaziano dall’installazione all’audio, dal video allo slide show, a cui si affianca l’esposizione di testi e di tele dipinte. Un plurilinguismo che rispecchia esattamente quello che è l’eclettismo di Orlow, che utilizza il video, la fotografia, il disegno e il suono al fine di realizzare progetti multimediali. Ciò che, però, caratterizza ogni suo progetto e anche, quindi, la mostra ospitata in sicilia, è la volontà dell’artista di far dialogare non solo i diversi linguaggi artistici tra loro, al fine una vera interazione, come la stessa organizzazione di Deep Opacity dimostra, ma anche di farli dialogare a loro volta, con la realtà che ci circonda, con la nostra storia.

Che sia la nostra storia personale e quotidiana o che sia la nostra storia collettiva. La nostra memoria storica che, riallacciandoci alla domanda iniziale che emerge della mostra, costituisce l’identità del singolo e quella di un intero stato. Ed è proprio ai fini di questa ri-definizione della nostra identità che Uriel Orlow volge il suo sguardo, il suo obiettivo e le sue ricerche artistiche verso questi fatti storici che restano ancora dei punti ciechi nella memoria. Egli cerca di riempire con la sua arte i vuoti di una storia europea recente eppure paradossalmente sconosciuta. Una serie di lavori sono dedicati allo stanziamento delle 14 navi cargo sul Canale di Suez, nel 1967 a seguito della cosiddetta guerra dei sei giorni, che ne provocarono la chiusura. Il lavoro audio Unmade Film, invece, attraverso una voce fuori campo, guida lo spettaore a Kfar Shaul, un ospedale psichiatrico a Gerusalemme sito negli edifici del villaggio palestinese Deir Yassin, spopolato in un massacro ad opera dei paramilitari sionisti nel 1948.

Documenti e documentari. Opere d’arte che non costituiscono una retrospettiva, o quanto meno non delll’artista e della sua storia o di un particolare movimento artistico, ma di una storia collettiva. Una storia recente eppure, abbiamo detto, «paradossalmente sconosciuta». E il paradosso sta proprio in quel posizionarsi in un’epoca vicina, moderna. In un’epoca in cui la maggior parte dei mezzi di comunicazione si è già ampiamente sviluppata. L’epoca in cui si poteva assistere a bombardamenti in diretta televisiva. Eppure, molti avvenimenti restavano ben nascosti. Al di fuori dell’inquadratura delle telecamere e quindi, al di fuori della coscienza e dalla memoria. Come se mai fossero esistiti. «Questi fatti della storia recente europea, nello stile ormai consolidato in questi ultimi anni da Orlow, sono osservati come dall’interno per evidenziarne gli effetti psicologici e fisici in quel particolare contesto sociale in cui accadono. Per proporre così un’alternativa alla lettura astratta e globale fornita solitamente dai libri di storia o dai giornali di cronaca, dai quali essi sono omessi». Infatti, il suo personale contributo alla riflessione attorno all’utilizzo di archivi per ri-attivare il serbatoio della memoria collettiva, risiede nel creare un cortocircuito dialogico tra i massimi sistemi e le esperienze specifiche, tra il globale e il locale, tra la finzione narrativa e la realtà.

Orlow sembra quasi voler affiancare con la sua arte quel giornalismo partecipativo di cui parla Gennaro Carotenuto, estraneo alle logiche dei media e al loro modo di omettere la realtà o parte di essa, fatto da chi gli eventi storici li osserva ad occhio nudo dall’interno e da chi vive sulla propria pelle le conseguenze che comportano. Orlow fornisce, in questo modo, un contributo per la ridefinizione dell’identità personale e collettiva, ponendo allo spettatore quella stessa domanda attorno alla quale tutta la mostra ruota. Invitandolo alla riflessione su quale ruolo potrebbe avere l’arte all’interno della società da cui si alimenta e che nutre. In questo nuovo lavoro, volutamente presentato come work in progress per evidenziare l’approccio “laboratoriale” della mostra, la consueta attitudine para archivistica dell’artista, che lo porta solitamente a mettere in evidenza le pause e gli interstizi di senso all’interno dei fatti storici che prende in considerazione, è applicata al suo personale processo creativo e a quello generale della narrazione della diffusione capillare dei “post” in rete e dei “visual message”. Il suo lavoro, infatti, si basa sul far coesistere la pratica della ricerca di archivio con le immagini prodotte da lui nei sopralluoghi compiuti in prima persona per realizzare un montaggio intuitivo, che lascia ampio spazio alla capacità dello spettatore di immaginare e per poter riflettere sul concetto di appartenenza, di passato e di prospettiva di futuro collettivo.

Fino al 12 luglio; galleria d’arte contemporanea LaVeronica, via Grimaldi 93, Modica; info: www.gallerialaveronica.it

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