Il silenzio dell’onda

Il silenzio dell’onda (Rizzoli, 304 pagine, 19 euro), finalista al premio Strega e responsabile al ninfeo di villa Giulia della dispersione di voti a favore di Alessandro Piperno e a discapito di Emanuele Trevi, proietta Gianrico Carofiglio, secondo alcuni, nell’alveo del realismo magico. Smessi i panni dello scrittore di noir, il magistrato più letto d’Italia intraprende la strada del mix di generi, dall’introspezione psicologica al thriller che non viene abbandonato del tutto, ma diventa marginale rispetto a tutto il resto. Il quale resto è, in soldoni, il rapporto irrisolto tra padri (latitanti) e figli (abbandonati), equilibrismi sul filo della follia quotidiana, incontri con figure angeliche e salvifiche. Un uomo e un bambino i protagonisti indiscussi. Il primo, di mezz’età, con un passato difficile e una vita da ricostruire giorno per giorno faticosamente. Un undicenne innamorato e sognatore, più grande della sua età. Solitario ma risoluto. S’incontrano e si aiutano. La storia procede spedita, sorretta dal ritmo, a tratti piatto ma leggero ed essenziale, al quale Carofiglio ci ha abituati. Il sogno e la realtà viaggiano in parallelo, confusi tra desideri e paranoie. La magia, quella feroce e suadente della letteratura latinoamericana, è lontana, imbrigliata dalle logiche rassicuranti della fiction. Il silenzio dell’onda si legge tutto d’un fiato. È questa è una buona notizia. La storia tiene banco e anche e ai personaggi ci si affeziona. Ma è la stessa piacevole soddisfazione intellettuale che si prova di fronte a un’avvincente serie televisiva statunitense. Ben fatta, ottimamente costruita. Intrattenimento innocuo. Non è un libro superficiale, ma si ha sempre la sensazione che manchi qualcosa: quella spiegazione, quel motivo da chiarire meglio, quel tratto del personaggio da definire con più cura. È un buon prodotto editoriale. Da non confondere però con la letteratura, quella che appassiona lasciando un segno nei pensieri del lettore.

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