La natura vista da Cioffi

Roma

Un solco nell’ alto Lazio, in cui l’ acqua porta con sé le tracce del tempo che scorre inesorabile nei territori desolati della zona, ricordi di storie e segni della natura. Il Mignone è un corso d’acqua che alimenta un territorio di quell’Italia apparentemente insignificante, poco frequentata dall’uomo, ma proprio per questo simbolo di un primato di cui la natura sembra volersi riappropriare. Stefano Cioffi negli scatti del suo ultimo lavoro ha descritto questo processo, andando a documentare un equilibrio in costante movimento lungo il fiume. Nel suo lavoro 62 km l’acqua nascosta del tempo si percepisce un grande dinamismo e un senso di smarrimento. Non è solo per le inquadrature, che non terminano nei bordi dell’obiettivo dando l’idea della continuità della forma, ma anche per l’imperversare della natura selvaggia, che dà l’idea di sovrastare il timido e circospetto insediamento dell’uomo. «Le immagini rappresentano il modo in cui la natura è stata ferita – racconta Cioffi – un paesaggio con cicatrici più o meno aperte. In alcuni casi la cicatrice si sta rimarginando, la condizione originaria e ancestrale dimostra di riappropriarsi di quello che le è stato tolto, in altri casi la ferita è ancora aperta. Quello che resta è l’idea del vuoto e della sospensione».

Cioffi scatta le sue foto nei mesi invernali del 2012, suggestionato dal filone nordamericano New topographic, con l’intenzione di concentrare la sua ricerca sull’equilibrio naturale alterato dalla mano dell’uomo: «Per questo il piccolo fiume è stato il mio filo rosso per entrare in maniera decisa e incisiva in questo territorio, mi è servito per descrivere la vita contemporanea e moderna». Il risultato è un lavoro in cui l’uomo sembra quasi un intruso. Spaesato, incosciente, inadeguato.

Tutti i riferimenti all’uomo sono evocati da qualcosa di brutto, di vecchio: un fabbricato inattivo, un fusto di cherosene arrugginito, quasi risucchiato dalle fronde degli alberi che si impadroniscono del panorama, un capannone di lamiere isolato, una staccionata dissestata sovrastata dalla predominanza della montagna selvaggia. Non a caso, l’uomo non compare mai: «È una scelta voluta – spiega Cioffi – per accentuare ulteriormente la sospensione temporale». Le sue immagini sono l’esatto contrario delle foto giornalistiche, che documentano e rappresentano la verità. «Le mie foto non colgono l’attimo – dice – lo dilatano. Cerco nella foto l’evocazione, non si vede l’uomo ma si percepiscono le sue tracce». Scorrendo il lavoro si percepisce qualche contaminazione intellettuale. Sicuramente Luigi Ghirri, anche se manca quella poetica e quel sentimentalismo. Qui la realtà è molto più cruda e amara. Quasi violenta. Le foto sono concettuali, non esteticamente accattivanti. Il senso è da ricercarsi solo nell’interpretazione e nel messaggio. Un messaggio di profonda attualità politica, che trova sponda nelle contemporanee evoluzioni dell’architettura residenziale, nelle nuove idee di città e di quartiere che si stanno sviluppando in armonia con il paesaggio e con la natura. Il 27 giugno Stefano Cioffi, non a caso, è all’ex Mattatoio di Roma per partecipare a un convegno sull’architettura residenziale pubblica incentrato sul quadrante Nomentana Prenestina. Ecco come l’arte, talvolta, può rendere servizio all’umanità.

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