Strega, i magnifici cinque

È una basilica di Massenzio affascinante come sempre ma insolitamente spoglia di gente quella che ha accolto la cinquina dei finalisti al premio Strega. Nella calura dell’estate romana infine esplosa, Paolo Di Paolo, Alessandro Perissinotto, Romana Petri, Walter Siti e Simona Sparaco, usciti dal bussolotto di casa Bellonci, hanno presentato alla platea del festival Letterature un estratto dei libri concorrenti al premio Strega che sarà deciso il 4 luglio al ninfeo di villa Giulia. Prima di loro, ad aprire la serata la rinascita di villa Gregoriana, a Tivoli, per mano di un pugno di volenterosi che hanno trasformato una discarica a cielo aperto, l’ennesimo scempio delle bellezze d’Italia, in un parco di pregio gestito dal Fai; l’enologa Arianna Occhipinti a narrare le gesta della sua azienda agricola e presentare il suo Natural woman, la mia Sicilia (Fandango) e la scrittrice Edwige Danticat, haitiana ma naturalizzata statunitense, edita in Italia, da ultimo, da Piemme.

E proprio per questa editrice, parte della scuderia Mondadori-Einaudi che in questa edizione lascia campo libero ai concorrenti dopo aver fatto manbassa negli ultimi anni, si presenta Perissinotto, la sorpresa di casa Bellonci e l’interprete più convincente della serata, grazie anche alla sua verve teatrale. Le colpe dei padri è un solido libro ben supportato da (l’assenza dei) due colossi editoriali e dal marketing della cordata. Dove uno stimato professionista, un uomo arrivato nel lavoro e negli affetti, vive in una manciata di minuti ciò che molti coevi provano avvicinandosi ai cinquant’anni (grossomodo l’età dell’autore): una frattura tra ciò che è stato e quello che mai più sarà o potrà essere. Meno convincenti, alla prova della lettura, i tre brani tratti da Resistere non serve a niente del secondo arrivato in casa Bellonci, Siti. Forte del messaggio pasoliniano, il più maturo tra i cinque – col quale la Rizzoli prova finalmente a mandare a dama uno dei suoi, dopo le ultime sconfitte sul filo di lana – indaga una contemporaneità schiacciata tra i maneggi dell’alta finanza e il malvivere quotidiano, prefigurando un al di là della democrazia. Più distaccati e con probabilità di vittoria solo sulla carta i restanti tre: Di Paolo, il più giovane del gruppo (classe 1983) sancisce il rientro della Feltrinelli nella tenzone con Mandami tanta vita, dove la rievocazione di un protagonista del nostro Novecento, in bilico tra Torino e Parigi, offre il destro per un lavoro sull’incanto e la fatica di essere giovani. Più attenti alle vicende famigliari i temi delle autrici in cinquina: Petri con Figli dello stesso padre (Longanesi) affronta, come dice il titolo, i rigurgiti del passato di due fratellastri alle prese con l’immagine della figura paterna in età matura, mentre Sparaco si misura col dolore di una coppia di fronte al dramma dell’aborto in Nessuno sa di noi (Giunti).

Intimismi femminili a parte e reiterazione nello scandagliare la paternità in crisi anche nella titolazione, a riprova di un ripiegarsi della letteratura del momento a una dimensione familistica, se non provinciale, ll complesso delle cinque narrazioni conferma uno schiacciamento sull’oggi – anche laddove lo sguardo è rivolto a una dimensione storicistica, guardi essa allo ieri o all’altro ieri – e un orizzonte incapace di muoversi oltre il presente. Oltretutto senza andare al di là del ritratto di maniera, più o meno calzante. Se crisi è, è giusto che lo sia per tutti, letteartura/e compresa/e. Un’edizione di transizione: questa sarà, alla fine, con tutta probabilità, la LXVII dello Strega: destinata a fare volume tra le pagine del premio, non certo indimenticabile per la sua storia, parafrasando Ennio Flaiano. Buon ultimo, azzardiamo l’ordine d’arrivo alla finale, manco fossimo a Capannelle e non a Massenzio, e cavalli di razza gli autori in corsa: quello del paragrafo precedente.

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