Non è solo una fiera

Photissima è una delle uniche due fiere italiane dedicate esclusivamente alla fotografia (l’altra per precisione è il Mia). L’evento incentrato sull’ottava arte ha inaugurato in occasione di Artissima dove del resto era nato un anno fa. In dodici mesi Photissima ha collezionato tre edizioni che la caratterizzano come una fiera anomala nel panorama nostrano in quanto non legata a un territorio preciso. Abbiamo intervistato il direttore della fiera Telemaco Rendine per capire meglio la natura dell’evento (ospitato tra l’altro nell’ex manifattura tabacchi, luogo storico di Torino), la situazione del collezionismo fotografico e il ritardo tutto italiano nei confronti di un’intera fiera dedicata alla fotografia, arte contemporanea per eccellenza secondo lo stesso direttore.

Neanche un anno di vita e già tre diverse edizioni: Torino Artissima nel 2012, Venezia per la Biennale e di nuovo Artissima quest’anno.

«Una grandissima attività, credo di aver raggiunto il record di edizioni per uno stesso evento all’interno dei dodici mesi, non penso che qualcun’altro abbia mai fatto una cosa del genere».

Una caratteristica di questa fiera è il nomadismo, se così lo possiamo chiamare. Non è radicata in un territorio preciso come accade per eventi simili.

«Sì, possiamo anche chiamarla così. Stiamo già preparando delle edizioni anche fuori Italia ma questo rientrava già nel progetto iniziale. Photissima avrà le sue sedi fisse a Torino e Venezia per rimanere vicino a manifestazioni che si interessano d’arte ma che non si occupano direttamente di fotografia, manifestazioni che indagando la creatività di oggi dimenticano che in questo momento la vera arte contemporanea è proprio la fotografia, tutte le altre sono soltanto delle trasformazioni. L’arte contemporanea è quella presente al nostro momento storico e la fotografia ha solo 150 anni, più giovane di lei chi c’è?»

Una questione temporale, quindi.

«Sì è una questione temporale, tutte le altre arti che siano pittura o scultura sono comunque secolari, ovviamente si possono cambiare le tecniche, sperimentare cose nuove, su questo non c’è dubbio, però se parliamo di arte contemporanea, questa in teoria deve essere la  più vicina alla persona che la realizza, e la fotografia è la più giovane».

E allora con il cinema?

«Appunto, il cinema è ancora più contemporaneo, non sto dicendo che non lo sia, anzi, sicuramente anche il cinema è un’arte contemporanea».

Oltre a voi esiste anche un’altra fiera fotografica, il Mia, che rapporto avete con loro, è curioso il fatto che siete le uniche due in tutta Italia.

«Abbiamo conosciuto il dottor Cassetti, direttore del Mia, con il quale intratteniamo un rapporto cordiale. Comunque siamo sì due eventi simili ma abbiamo delle differenze, differenze che riscontriamo anche con altre fiere. Oltre alla parte commerciale noi siamo un’evento culturale, il focus sull’arte della fotografia, cose che nessun altro fa, ci piace essere un po’ diversi dalla semplice fiera».

Per esempio il fatto che siete nomadi questa è una distinzione dal Mia.

«Certo, poi il Mia è un evento puramente commerciale, noi abbiamo anche una parte culturale, per esempio partecipiamo sempre con le università: qui a Torino le abbiamo tutte, quando eravamo a Venezia, c’era l’accademia di Belle arti e lo Iualv. È un approfondimento didattico sulla materia quello che proponiamo. Vogliamo essere un po’ presuntuosi e dire che stiamo educando la popolazione all’arte fotografica».

La fotografia, forse più delle altre arti, si presta maggiormente a un ambito fieristico anche solo per il suo statuto di arte riproducibile ma nonostante tutto è approdata alla fiera più tardi delle arti tradizionali.

«Sulla riproducibilità non sono d’accordo: un artista decide sempre quante stampe tirare dalla sua opera, esattamente come fanno tutti gli altri e comunque sono tantissimi i fotografi che fanno opere uniche».

Bruciavano anche i negativi.

«Sì, nel caso della fotografia analogia, nel digitale distruggono il file d’origine».

Perchè una fiera dedicata alla fotografia è arrivata così tardi?

«Diciamo che è arrivata tardi in Italia. La fotografia nel resto del mondo è già considerata un’arte da molto tempo e in ogni caso ci sono pochi eventi dedicati come per esempio Parisphoto».

E allora come mai questo ritardo da noi?

«La mia opinione è che il collezionista, che poi è quello che fa la differenza nello scegliere l’opera o meno, con un’arte riproducibile come la fotografia, all’inizio ha avuto dei dubbi, ovviamente leciti e questo ha portato un diverso modo d’intendere la materia. Non dimentichiamo poi che la fotografia è nata come strumento di documentazione, perdere l’idea che non sia solo qualcosa di scientifico ha necessitato di tempo. Che poi ritardo se la paragoniamo alla pittura, ma questa ha avuto una storia più lunga e più tempo per costruirsi il nome che ha ora, mentre la fotografia è talmente giovane che deve ancora farsi strada».

La fotografia ha avuto molti problemi inizialmente per farsi accettare come arte anche dagli stessi artisti che le rimproveravano una mancanza d’interpretazione del reale in quanto l’opera sembrava una mimesi perfetta di ciò che si riprendeva.

«Esatto, perché documentava, la fotografia è nata come strumento per documentare. Per esempio, le prime fotografie in Italia sono state fatte a Torino da due ingegneri che registravano con la pellicola i palazzi esistenti sotto commissione del re».

Che cosa possiamo aspettarci dalla fiera allora?

«Il titolo per questa edizione è More word, lo scopo è sottolineare come con la fotografia si possa anche parlare. Ormai si comunica con l’immagine, da Facebook fino ai giornali, praticamente scriviamo con la fotografia. Quest’anno abbiamo accolto anche degli eventi collaterali che non sono solo legati alla pellicola o all’arte contemporanea ma anche spettacoli teatrali o musicali».

C’è anche una sezione dedicata ai video.

«Sì, i video non partecipano però, sono protagonisti di dibattiti e confronti con il mondo della fotografia».

Quel è la forbice di prezzo delle stampe in vendita?

«Se parliamo di fotografia artistica si parte da un minimo di 500 euro, il massimo non c’è, dipende dall’autore, dalla tiratura e da molte altre variabili».

Un collezonista è più propenso ad acquistare una fotografia analagioca o digitale?

«Omai non c’è più differenza».

Questo è un gran passo.

«Lo è, fino a poco tempo fa quando si parlava di fotografia digitale il collezionista storceva il naso convinto della maggiore facilità nel riprodurre un file invece che un negativo. È qui che è intervenuto e interviene il mondo dell’arte: artisti e galleristi che hanno fatto e fanno da garanzia».

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