Lazio, idee per la cultura/2

Quale spazio per l’arte contemporanea? Quale ruolo per la cultura nella nuova giunta che da febbraio sarà alla guida della regione Lazio? In attesa delle amministrative, i protagonisti del settore hanno chiesto a Nicola Zingaretti, il candidato del centrosinistra e segnatamente del Pd, di dire la sua sul sistema delle arti contemporanee. Associazioni, galleristi, fondazioni, artisti e operatori del settore si sono incontrati negli spazi della fondazione Cerere, a Roma, per confrontarsi con l’attuale presidente della provincia. Di seguito e a cadenza giornaliera pubblicheremo una sintesi degli interventi, per dare un quadro dei desiderata dei protagonisti e nel complesso – è il caso di dirlo – dello stato dell’arte nella nostra regione. A seguire il secondo intervento (dopo il primo di Fabrizio Russo) è il momento di  Alfredo Pirri, artista e guida si Aria (Artisti romani in assemblea) di cui qui presenta le proposte. L’intervento di Zingaretti può essere scoltato direttamente qui. Ringraziamo Marcello Smarrelli, la fondazione Cerere e Vocazione Roma per la disponibilità. (M. Z.)

Proveniamo da un’epoca di grande difficoltà. Qualcosa di simile al dopoguerra ma senza la coesione ideologica che ha permesso di uscire fuori da quella tragedia. Ogni forma di vivere collettivo è definitivamente venuto meno e non è neanche pensabile che si possa ricostruire la casa collettiva come era e dove era al pari di come si è fatto ovunque in Europa dopo l’evento bellico. Su questo argomento nessuna illusione è possibile. Bisognerà semmai avventurarsi in un mondo sconosciuto del quale non sappiamo nulla, nel quale nulla ci aiuta a vivere dimenticando per sempre quello che ci ha fatto da guida. In questo senso per esempio la (seppure nobile) questione citata in apertura dell’incontro dell’arte come terapia (sia medica che sociale) non può accontentare i nostri dubbi, bisogna invece insistere su qualcosa di intrinseco nell’arte, qualcosa a cui dare fiducia a occhi chiusi, qualcosa che si genera in maniera spontanea come una fonte d’acqua viva. Se la politica saprà farsi fonte noi ne berremo. Alfredo Pirri

Queste le proposte di Aria:

Durante i nostri incontri si è affermato il desiderio di iniziare un percorso, né breve né effimero, finalizzato a riportare gli artisti, con le loro imprese ideali, le loro fragilità e le loro glorie al centro dell’interesse del dibattito artistico e del più ampio mondo. Per dare corpo a questo percorso, abbiamo bisogno di luoghi e rapporti nuovi senza ricadere nella banalizzazione già sperimentata dell’alternativa generic– specific. Gli artisti col proprio lavoro danno già indicazioni esplicite sull’identità di questi percorsi, allargando confini finora sigillati e al contempo tracciando una linea di demarcazione (trasparente come il vetro e pericolosa come un serpente) che separa il significato del loro lavoro da ogni atteggiamento genericamente creativo. Mostrare l’arte dovrebbe poter significare narrare qualcosa, far parte di una storia e poterla raccontare, svolgere allo stesso tempo un atto solitario e comune. Solitario, perché tale è il rischio dell’immagine, comune perché questo rischio si tramandi con il linguaggio. I luoghi dell’arte sono quelli che tutelano il rischio dell’immagine favorendone l’identità singolare. Pensiamo a luoghi-simbolo, ma anche luoghi-passaggio. Luoghi chiusi o aperti che favoriscano lo scambio d’identità differenti. Abbiamo questi luoghi? Luoghi capaci di narrare? Luoghi per l’arte, capaci di mostrarci limiti e gioie dell’essere umano? Questi luoghi esistono; a volte sono i luoghi stessi dell’arte che tutti frequentiamo, altre volte sono porticati ombrosi dove le voci dei passanti rimbombano, piazze chiuse come chiostri, cortili grigi di periferia, stanze di fronte al mare, biblioteche dove nessuno mette piede. Questi luoghi esistono dentro di noi, siamo noi stessi, la nostra testa, la nostra casa, il nostro tesoro. Altre volte sono da costruire. Ne elenchiamo alcuni cui vorremmo dare vita.

Il bar. Un luogo d’incontro, stabile e informale dove sperimentare il confronto e la conoscenza reciproca, dove la lingua possa esercitarsi con libertà e ampiezza attraverso incontri in parte programmabili in parte casuali. Il bar è quel luogo dove, per tradizione, la realtà incontra il suo contrario, dove attore e spettatore hanno lo stesso ruolo nella messinscena dell’esilio dell’arte, dove il confine fra rappresentazione e realtà è liquido e velenoso. Si potrebbe creare un posto simile come vero progetto artistico stabilmente ospitato all’interno di una delle istituzioni cittadine per farne un luogo d’incontro costante.

La scuola. Bisognerebbe creare delle condizioni speciali d’incontro con il nostro pubblico più giovane, a volte giovanissimo. Se siamo capaci di dare alla solitudine una forma credibile coralmente, facendola diventare una forza, vedremmo più chiaramente le nostre debolezze e le nostre forze e sapremmo anche offrirle agli altri come un tesoro. Per carità, nessuna didattica dell’arte. Niente da insegnare e da apprendere, nessun programma di studio. Sappiamo che insegnare l’arte è impossibile, sappiamo però, per esperienza, che ogni nostro interesse per la disciplina è scaturito da un rapporto diretto con essa, a volte un rapporto personale, magico, magari solo formale, ma che ha suscitato in noi un sorriso interiore, il desiderio di guardare diversamente le cose che conoscevamo già, la voglia di mettersi al lavoro come in una palestra per rinforzare i muscoli della critica e infine la voglia di perdersi dentro un’avventura.

Il giornale. Avviare il confronto, la conoscenza, lo stimolo e la provocazione reciproca ha evidenziato la necessità di luoghi reali, ma anche di luoghi paralleli al reale capaci per la loro natura immateriale di aprire spazi inediti di diffusione e conoscenza. Questo luogo parallelo potrebbe essere quello di una rivista on-line che possa accompagnare e interrogare permanentemente quei luoghi reali dove si mostra l’accadere delle cose. Una rivista che potrebbe avere una sua autonomia per evidenziare che le nostre modalità non sono propriamente quelle di una agenzia di servizi artistici, bensì un terreno aperto di confronto e dialogo. L’energia che ne scaturirebbe non dovrebbe portarci a vergognarci neanche della cosa più strampalata che potrebbe venirne fuori. Sarebbe importante avere la consapevolezza della necessità di un lucido investimento nell’utopia che è l’unico coraggio che dobbiamo avere in questo momento (che è già quello che di solito facciamo da soli).

Il museo. Le domande più frequenti riferite a tale istituzione ruotano spesso intorno ad alcuni temi ormai classici: il rapporto fra conservazione e scommessa e il ruolo che un luogo altamente specialistico può avere nel contesto cittadino. Questi due temi convivono fra loro e sono inscindibili. La loro permanenza ossessiva dentro la testa di direttori, curatori e artisti, impone una riflessione su quale siano i doveri imminenti di un tale luogo per l’arte, quale sia il senso della nozione stessa di luogo in riferimento all’arte, se essa si crei o no in dialogo con uno spazio fisico, se siano soddisfacenti o no quelle nozioni filosofiche che ci hanno spinto a considerare i luoghi come paesaggi esclusivamente culturali e non più storici, se infine il luogo del museo debba declinarsi al plurale, in modo che esso scompaia alla vista fino a diluirsi nel sociale. Attenzione, dire: il museo è dappertutto non deve però significare: il museo non è da nessuna parte. Semmai che proprio tutto possa considerarsi luogo dell’arte.

Alfredo Pirri, artista e portavoce di Aria (Artisti romani in assemblea)

Leggi l’intervento di Fabrizio Russo

 Leggi l’intervento di Giorgio Galotti

Leggi l’intervento di Claudia Cavalieri

 

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